Papi F. (2011). Oggi un filosofo. Rubrica di Fulvio Papi. Paideutika. Quaderni di formazione e cultura. 14-VII. 25-26.

 

Credo che vi siano due domande fondamentali che, più o meno consapevolmente, sono presenti nei ragazzi: che cosa devo pensare di me stesso e in quale mondo sono capitato. È la prima domanda che apre il senso della seconda. I mezzi di comunicazione nel caso migliore danno notizie di fatti che accadono nel mondo: ad esempio catastrofi nucleari, la distruzione della fauna ittica, i mutamenti politici dell’Africa del Nord, l’esistenza dei regimi totalitari, la diffusione del sapere in varie aree sociali, gli effetti della ricerca tecnologica, etc. etc. Ma quale è la relazione tra la propria vita e questa complessità del mondo, in quale spazio mi trovo, quali relazioni che non conosco entrano nella mia vita, quali poteri ne circoscrivono le possibilità? Si sa che nessuno può domandare qualcosa se di questo qualcosa non vive almeno una dimensione percettiva. Se si sta alle domande che incertezza e ansia aprono, più o meno consapevolmente, nella mente dei giovani, c’è uno spazio per l’insegnamento e per il modo di insegnare che la caduta di senso della scuola – un precipizio durato da anni – non poteva presagire. E non sottovaluterei affatto la dimensione comunicativa di Internet che, al di là di tutte le aporie ben note, è una straordinaria rete di relazioni inimmaginabili del nostro circuito quotidiano. È una propria apertura su mondi, un proprio intervento su testi che, se non muta nell’immediato la qualità intellettuale ed emotiva della ‘partenza’ può costituire un elemento di curiosità, di gioco, di indiscrezione che può divenire un destabilizzatore degli elementi più statici della propria esperienza. Sto sempre pensando alle figure dei tradizionali destinatari della educazione poiché esempi politici ben più macroscopici sono noti a tutti. Del resto il mondo, nel suo vissuto, non è mai proprio uguale a se stesso. Non sarà facile tuttavia mettere nella testa di chi comanda (personaggi la cui mediocrità intellettuale è addirittura inimmaginabile) che da questa insecuritas e da questa curiositas nascono le possibilità di rinnovamento della funzione stessa della scuola e delle ‘materie’ di insegnamento. Perché un insegnamento che risponda dell’analisi della complessità investe ogni angolo del sapere: la storia come letteratura, la matematica e le tecnologie, il pensare filosofico e quello religioso, le scienze. Certo un progetto di questo genere non si realizza in un istante. Gli stessi insegnanti, del cui impegno intellettuale e morale non ho mai dubitato, dovranno attrezzarsi per una trasformazione del genere che, come dicevano gli intellettuali dell’inizio del secolo passato, non vuole tenere distanti e incomunicabili la scuola e la vita. Se tutto ciò non verrà compreso, e si misurerà la ‘produzione’ della scuola solo alla luce di qualche visione sociale esclusivamente produttivistica, allora si stabilirà come centro dell’educazione l’adeguamento meccanico alle condizioni e ai poteri statice del mondo. Direi quasi che l’alfabetizzazione, un tempo necessaria per non lasciare solo a un ceto o a una classe il potere della parola, oggi consiste nell’insegnare il linguaggio per mettere in relazione il limite della propria esistenza con la complessità del mondo.