Madrussan, E. (2017). Educazione e inquietudine. La manœuvre formativa. Como-Pavia: Ibis. 25-27.

 

Confusa con l’irrequietezza psicologica, con l’insicurezza sociale o con quella affettiva, con l’assenza di paradigmi e tradizioni a cui opporsi o a cui aderire, l’inquietudine rischia di sovrapporsi ad un luogo comune: quello che la fa coincidere con una fragilità deprivante, con uno squilibrio da sanare. Pienamente inscritta nel nostro tempo, cioè nelle dimensioni del rischio, della novità e dell’incertezza, l’inquietudine, quando non è ridotta a caricatura, finisce per coincidere con qualche cosa di simultaneamente riconoscibile e oscuro: un imprecisato senso di irrequietezza che caratterizzerebbe, volta a volta, o uno stato d’animo – passeggero e insignificante nell’economia di una vita – o l’anticamera di una ben più ingerente angoscia depressiva. Insomma: più il sintomo di un disagio psicologico che una condizione esistenziale. Men che meno un tratto proprio dell’intelligenza critica.

Eppure l’inquietudine rimane, nel contempo, un paradigma culturale ricorrente, almeno nella storia della cultura occidentale: un modo di essere nel mondo che contraddistingue il pensiero interrogante, la curiosità, l’insaziabile desiderio di ulteriorità, perfino una più acuta sensibilità rispetto alla superficialità di ciò che appare già noto. In questa seconda chiave, l’inquietudine fa il paio con la scoperta, con l’occasione attesa e afferrata, con la possibilità. Ed è evidente, in quest’ambito, il suo rapporto privilegiato con la formatività esistenziale. […]

[I]l rapporto tra educazione e inquietudine attraversa la pedagogia e le sue figure di rilievo fin dall’antichità. E ciò accade, peraltro, in almeno due sensi evidenti.

Il primo senso – che mette in relazione educazione e dissenso – ha a che fare con l’inquietudine rispetto al proprio tempo, con l’impossibilità o con la fatica di corrispondere alla cultura dominante. Il secondo senso – che mette in relazione educazione e pensiero – ha a che fare con l’esigenza di radicare il problema formativo nella personalità individuale, nel cuore della propria interiorità.

Entrambi si collocano in uno spettro culturalmente ampio di questioni, nel quale non è rilevante sancire specificità o obiettivi, quanto gestire una visione complessa dell’educativo. E di farlo, poi, tenendo conto della dinamicità costitutiva del prendere forma, sia temporale che contingente, in modo da saper legger e il proprio tempo sotto la sua superficie, nelle pieghe nascoste di ciò che il presente, in nuce, annuncia.