Se è vero che la dialettica tra norma e trasgressione si pone necessariamente in relazione a qualcosa – una legge, un costume, un fine, un orizzonte ideale –, qual è la funzione etico-politica dell’educazione? E come si declina, poi, nei diversi contesti?
Secondo Roger Callois, che ragionava con e oltre Huizinga sul gioco come azione libera e volontaria, il rapporto tra norma e trasgressione regola uno spazio disciplinato soltanto in quanto evasione dalla realtà. Qui la norma (ma anche la sua interpretazione, aggiunge Callois rispetto a
Huizinga) circoscrive il campo d’azione, mentre la trasgressione non viola quel campo, anzi, lo rinforza indirettamente, confermando la validità della norma stessa. Così che uscire dal dinamismo norma-trasgressione è possibile solo interrompendo il gioco, cioè rifiutando il campo d’azione della improduttività regolata e libera che lo caratterizza.
Per Georges Bataille, che colloca la trasgressione sul piano dell’esperienza interiore, i divieti esterni, o sociali, hanno un rilievo decisamente relativo. Ossia valgono tanto quanto corrispondono ad una violazione di se stessi, aprendo il fronte esperienziale dell’eccesso. Lì, infatti, l’esperienza interiore della trasgressione diventa “coscienza di infrangere se stessi, non la resistenza opposta da fuori”. In questa chiave, trasgredire è trascendersi, oltre la volontà razionale, per spingersi fin sul crinale del proprio limite, superandolo in una direzione sconosciuta, angosciante, in certo senso assoluta.
Sia per Callois che per Bataille, norma e trasgressione riguardano la libertà personale, interiore, di stabilire (e infrangere) una prospettiva morale più significativa e complessa di quella corrente. In questi termini, la convenzione sociale (la ‘realtà’ normativamente regolata) risulta pressoché inservibile se non alimentata da un sentire etico-morale che sarebbe compito dell’educazione mostrare e coltivare.
A partire dal fatto che, in primo luogo, l’educazione sembrerebbe riguardare, invece, l’autoregolazione del proprio comportamento e della propria visione del mondo a quelli della vita sociale di cui si è parte, questo numero di Paideutika tenta di restituire uno sguardo più ampio, recuperando un’idea di educazione quale spazio di concertazione conoscitiva e riflessiva. Infatti, la questione etica (individuale e sociale) che accompagna la dialettica pedagogica tra norma e trasgressione va molto al di là del rapporto adeguamento-rottura. Essa, piuttosto, riguarda l’intreccio tra realtà e idealità, tra normatività e libertà, tra convenzione e ideazione. Del resto,
se così non fosse, l’educazione stessa non sarebbe altro, a sua volta, che puro esercizio normativo. Ciò che pare essere – non a caso, in tempi di crisi radicale della cultura – dominio del senso comune.
Ma fare dell’educazione uno strumento regolativo (e punitivo) – peraltro potenzialmente molto efficace – significa non solo ridurne la complessità ad un compendio di tecniche riproduttive che rischiano sempre di annichilire la capacità critico-interpretativa dei singoli e, più in generale,
delle civiltà, ma significa soprattutto negare all’educazione il ruolo eticoculturale di generatività intellettuale. Il che, sia detto per inciso, ma non senza preoccupazione, comporta anche la paralisi della capacità educativa di intercettare l’esigenza diffusa di ‘ordine’ esistenziale come esigenza
primaria di conoscenza, di comprensione e di esercizio dell’intelligenza, anziché di banale disciplinamento delle volontà.
Ecco perché il pedagogico che sta tra norma e trasgressione, in quanto esperienza interiore e sociale, reale e ideale, è qui affrontato da più angolazioni: guardando ai processi di interiorizzazione attraverso il linguaggio (Cimatti); alla performatività di gioco e lavoro (Antonacci); all’autorità familiare nell’incertezza nei processi di globalizzazione (Secci); al potere
della scuola nella trasmissione delle norme sociali (Papa); all’esperienza dell’arte come strumento di superamento dinamico della propria forma (Petrella); al recupero dell’idea di frontiera come luogo di narrazione identitaria (Bonnin); al ruolo dell’apprendimento istituzionalizzato della
‘cultura generale’ come spazio riflessivo per la formazione del cittadino (Merlini).
Altrettanti luoghi – solo alcuni – grazie ai quali rivendicare, per l’educazione, l’intensità irrinunciabile di una prospettiva mediana, feconda perché problematica. Utile, forse, a non trascurare, con Bataille, i significati più profondi dell’istanza morale soggettiva e, con Callois, la
legittimità dell’evasione fine a se stessa, produttrice soltanto di senso e di invenzione.

E.M.


 

 

In riferimento al peer review process Paideutika ringrazia Francesca Antonacci (Università di Milano-Bicocca), Serena Billitteri (Università di Cassino), Elvira Bonfanti (Università di Genova – Fondazione Carlo Felice), Elsa Maria Bruni (Università di Chieti), Gabriella Bosco (Università di Torino), Carlo Cappa (Università di Roma-Tor Vergata), Mino Conte (Università di Padova), Mariagrazia Contini (Università di Bologna), Silvia Demozzi (Università di Bologna), Rita Fadda (Università di Cagliari), Paolo Levrero (Università di Genova), Carlo Pancera (Università di Ferrara), Gilberto Scaramuzzo (Università di Roma Tre), Gabriella Seveso (Università di Milano-Bicocca), Giancarla Sola (Università di Genova), Ranieri Teti (Premio Internazionale di poesia Lorenzo Montano), Ignazio Volpicelli (Università di Roma – Tor Vergata), che, con responsabilità e competenza, hanno valutato i contributi pubblicati nel 2018.