N. 18 Nuova Serie, Anno IX 2013 – Geografie del corpo

 

EDITORIALE

 

Ritornare sulla questione della corporeità, ad un decennio circa dalla sbornia culturale che ha attraversato gran parte della cultura umanistica italiana, vuol essere, insieme, un tentativo e un invito. Il tentativo è quello di continuare a render conto di quanti e quali luoghi – esperienziali, semantici ed interpretativi – la corporeità inesorabilmente convoca. Come fossero – e forse sono – altrettante ‘geografie’ del senso che, in quanto tali, moltiplicano all’infinito gli sguardi, i linguaggi, i paesaggi possibili, e che, per ciò stesso, rendono risibile l’ipotesi che il rapporto tra soggettività e corporeità possa essere confuso con una moda. Che poi in proposito molto sia stato detto e scritto, non sembra affatto minacciarne la ridiscussione critica, né, tantomeno, l’oscuro e l’intentato che la riguarda. Piuttosto il contrario: la nonchalance con la quale la materia sensibile dell’essere-corpo può ridursi nuovamente, dopo tanto interrogarsi, ad epifenomeno, sembra invece invocare l’urgenza di denunciarne l’archiviazione liquidatoria e farsi appello a ripensarne i contenuti.
Per le stesse ragioni, tuttavia, se il tentativo di ‘rendere conto’ non potrà che essere parziale – la questione è irrinunciabile ma immensa, in ogni sua rifrazione e sutura culturale, tanto da impegnare idealmente molte vite –, la denuncia potrà forse valere almeno come invito a guardarsi dal
rischio, più che contingente, del sorvolo. 
In questo numero, quindi, le geografie del corpo possono intendersi sia come territori da attraversare “sempre di nuovo” sia come dislocazioni spazio-temporali di una questione – quella della e sulla corporeità, appunto – la quale, nonostante tutto, ricorre in differenti ambiti culturali, circostanze storiche e paradigmi di significato. Ecco perché dall’auto-posizionamento soggettivo e filosofico di Jean-Luc Nancy, qui letto da Calabrò  nel solco della “dismisura del corpo”, passando attraverso la coincidenza tragica del limite e dell’assoluto nella danza macabra del Genet più inatteso, interpretato da Elvira Bonfanti, fino all’ironia dissacrante e nichilista della quotidianità anatomica ispezionata da Millás secondo la densa restituzione che ne dà Mininni, il piccolo quadro dei Saggi allude già ad una pluralità inequivocabile di posture interpretative.
Così, se le pagine dell’Archivio della memoria, tra le infinite possibili, riconvocano un Ernst Bloch alle prese con il rapporto tra medicina e pianificazione – in cui narcotici, antisettici, amputazioni, balsami e perfino la rappresentazione collettiva del medico, non fanno altro che alimentare l’utopia reazionaria dell’invulnerabilità –, allora le osservazioni di Fulvio Papi sembrano restituire all’attualità di senso – a partire da un pretesto tanto minimo quanto sintomatico – lo stesso, ricorsivo, problema del desiderio malato di governare l’ingovernabile umano.
Convergono poi sulla medesima destinazione teorica ed esperienziale i contributi di Giachery e di Gregorino. Dove nel primo caso la focalizzazione del rapporto tra biopolitica e pedagogia – con e oltre Foucault – consegna alla riflessione educativa una chiave interpretativa ancora sorprendentemente inedita relativa alla pervasività del controllo sociale. E dove, nel secondo caso, la concretezza materiale dei “soggetti incorpati” oggetti di cura mostra con precisione la delicatezza inaudita del problema. In questa chiave, il documentato lavoro di Scaramuzzo, esplorando il “punto vivo” pirandelliano e individuando nel mistero il baricentro educativo di una possibile salvezza dalla contingenza soggettiva, apre ulteriormente il campo prospettico.
Un punto d’osservazione, dunque, quello di questo numero, in cerca di sguardi plurali e radicalmente differenti, che approdano infine in territori simultaneamente vicini e lontani, come quelli del Quijote. Territori in cui, grazie a Bernat Vistarini, sia possibile assaporare, magari nella postura del cavaliere, ancora una volta, il gusto dell’umana miseria e della dignità.

Elena Madrussan

 

In riferimento al peer review process Paideutika ringrazia Giancarlo Depretis (Università di Torino),
Rita Fadda (Università di Cagliari), Enrica Lisciani Petrini (Università di Salerno), Alessandro Mariani (Università di Firenze), Riccardo Morello (Università di Torino), 
Paolo Mottana (Università di Milano-Bicocca), Francesco Mattei (Università di Roma Tre), Massimiliano Tarozzi (Università di Bologna) che, con responsabilità 
e competenza, hanno valutato i contributi pubblicati nel 2013.

 

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