Madrussan E. (2013). In avvio: la scommessa formativa. Paideutika. Quaderni di formazione e cultura. 17 – IX. 12-13.
“Vous êtes embarqués”, diceva Pascal, a proposito della libertà come condizione e dell’azzardo come necessità. In effetti, riflettere sull’educazione come critica dell’educazione significa forse e innanzi tutto fare i conti con un binomio stringente e inevadibile: quello tra possibilità e necessità, che fa di ogni uomo un soggetto libero alle prese con le condizioni che il mondo gli impone. Un uomo che si trova già imbarcato nell’esperienza della vita, imbarcato lui malgrado, con a disposizione nient’altro che il fascino spaventoso del mare aperto del possibile e la necessità unica della navigazione.
Per lui, a segnare la rotta restano allora le antinomie dell’esistere: condizione e situazione, limite e risorsa, possibilità e necessità. Le stesse antinomie che qualsiasi educazione orientata alla problematicità dell’esistenza legge nei termini della fenomenologia dei gesti quotidiani, delle relazioni intersoggettive, dei ruoli e dei compiti di ciascuno, nel lavoro e nello studio, nei pensieri e nei desideri, nelle rappresentazioni del mondo e nella progettualità. In altre parole: in quella produzione materiale di situazioni che spetta, giorno dopo giorno, ad ogni soggetto, chiamato, come tutti, ad esercitare se stesso e la propria storia nel qui ed ora.
Dunque, il qui ed ora e il binomio possibilità-necessità sembrano legarsi reciprocamente nella mutevole circostanza esistenziale. Quasi che la scommessa formativa con la vita non la si possa giocare altrimenti che sempre di nuovo. Si tratta, infatti, di un qui ed ora originario, altro da quella formula esortativa che lo vorrebbe confondere – un po’ comicamente – con il richiamo economicistico a non perdere tempo. Dove, invece, esso evoca una ben più lenta ed intransigente consapevolezza, costituita dall’irrevocabile appello del tempo esistenziale. Un temps vécu al quale la nostra eventuale colpevole distrazione ci sottrae proprio nei termini dell’opportunità mancata e in cui, semmai, la fatica ella ripartenza certifica contemporaneamente la vanità delle cose e la necessità della scelta.
Per questo, a far valere un approccio critico all’educazione non può essere – almeno per noi – la caccia agli strumenti – oramai sempre più sofisticati ed esaustivi – utili a mettersi al riparo dallo scacco, nell’illusione di potersi così collocare lungo una rotta ‘sicura’. No: qui, per Erbetta e per noi, la “critica radicale di sé” – l’”educazione come critica dell’educazione” – equivale ad un movimento di ulteriorità infinita capace di violare i limiti storici che la bloccano”, un invito esplicito a considerare la spietata verità delle “arrischianti motivazioni di una navigazione solitaria”[1]. O, in altre parole, del binomio che unisce educazione ed esistenza “come la scommessa, atroce e splendida, di un uomo ‘viaggiatore’, inesorabilmente ‘nomade’, che tutto di sé mette in gioco”.